Inconto con il prof. Massimo Recalcati
Le parole proiettile
Massimo Recalcati, nato il 28 novembre 1959 a Milano, è uno psicoanalista lacaniano e saggista.
Si è formato alla psicoanalisi a Parigi con Jacques-Alain Miller, laureandosi in filosofia nel 1985 presso l'università di Milano discutendo una tesi sul confronto tra Sartre e Freud.
Dopo aver insegnato nelle Università di Milano, Padova, Urbino e Losanna, oggi insegna Psicopatologia del comportamento alimentare presso l’Università di Pavia e Psicoanalisi e scienze umane presso le Scienze Umane di Verona.
Nel 2003 ha fondato Jonas: Centro di ricerca psicoanalitica per i nuovi sintomi e nel 2017 ha vinto il Premio Ernest Hemingway, Testimone del nostro tempo, con la seguente motivazione: «... per aver raccontato nelle sue opere, con profondità e intelligenza, le mutazioni avvenute nella nostra società, indicando temi e bisogni che, per l’acume analitico, diventano paradigmatici del nostro tempo». Accanto a un lavoro di interpretazione dello sviluppo e della struttura del pensiero lacaniano, si è occupato di fenomeni di dipendenza alimentare e di psicopatologia contemporanea, indagando anche le figure del padre, della madre e della relazione familiare nell’epoca ipermoderna. Più di recente, ha analizzato il rapporto tra politica e disagio della civiltà, tra psicoanalisi e creazione artistica. Attualmente, il suo interesse è orientato verso lo studio della relazione tra psicoanalisi e cristianesimo. Da anni affianca alla pratica clinica la scrittura: oltre a collaborare regolarmente con «il manifesto» e «la Repubblica», ha pubblicato numerosi saggi.
Il festival della filosofia 2023 è stato incentrato sul tema della parola per discutere la centralità del linguaggio, della lingua e della presa di parola in un’epoca, caratterizzata dal dominio della comunicazione, che paradossalmente sembra tuttavia indebolirla. La parola è essenziale alla vita e alla convivenza, con la responsabilità che ne consegue di farne buon uso.
Su questo tema il professore ha tenuto una lezione sul rapporto parola-trauma, intitolata: "Il trauma della parola. Quando le parole sono proiettile.". Recalcati introduce il discorso partendo dal concetto di psicanalisi da lui considerato come "dare parola a ciò che non ha parola".
Questa mette in luce il potere liberatorio delle parole che abbiamo mancato: parole d'amore, di riconoscimento, di desiderio... e il rapporto tra ascolto e silenzio.
L'ascolto viene inteso come la realizzazione più profonda della parola, a volte non ci sentiamo ascoltati causando in noi un senso di mortificazione: non c'è ascolto senza silenzio. Da qui, si ricollega all'ultima paziente di Freud, una giovane donna di 16 anni oppressa da una madre proiettiva, che rilasciò anni dopo un'intervista, dichiarando: "Freud mi guarì in una sola seduta, per la prima volta qualcuno mi ha dato parola, ascoltando la mia e non quella di mia madre". La parola è luce, genera, rivela, fa esistere le cose.
Durante le sedute, Freud ricorre all'utilizzo della sua "regola fondamentale" fatta di associazioni libere, senza censure o preoccupazioni morali e di ordine logico. La regola consiste nel far dire al paziente tutto ciò che gli passa per la mente, e quest'ultimo inconsapevolmente si accorgerà di due cose:
• Per quanto provi a rispettare la regola, non sente mai di dire tutto;
• Mentre parla liberamente e rispetta la regola, alcune parole chiavi si ripetono costantemente, queste sono le cosiddette parole-proiettile.
Le parole proiettile sono chiodi che abbiamo conficcato nella nostra memoria: la prima è il nostro nome, l'unica parola in una lingua che rifiuta una traduzione e definisce quello che siamo. La parola non è solo ciò che esce dalla bocca, ci sono parole che portiamo in noi stessi, sono la traccia delle parole degli altri; per questo quando un paziente parla di sé, in realtà sta parlando di altre persone poiché non si può parlare di sé stessi senza parlare degli altri.
Le parole-proiettile sono sia esterne, poiché provengono dagli altri, sia interne, perché sono ciò di cui siamo fatti.
Sull'influenza delle parole-proiettile abbiamo come esempi due casi analizzati da Sartre e collegati tra loro. Nel primo caso il filosofo spiega di come un bambino considerato "ladro" riuscì a diventare un grande poeta: Jean Genet. Nel secondo caso, invece, racconta la storia di un bambino reputato un "idiota" e trattato da "insufficiente", che riuscì a trasformare le sue debolezze in punti di forza e a diventare un genio: si tratta di Gustave Flaubert.
Il fatto che sia diventato genio non è smettere di "essere idiota", non ci si può liberare dei propri marchi. Diventa un genio perché radicalizza il suo "essere idiota". Flaubert non sa leggere, passa il tempo nel bosco, è un sognatore, vive nel suo mondo: ogni scrittore è perso nel suo mondo. Il genio è l'idiota, l'idiota è il genio. È questa la trasformazione che possiamo fare con i nostri marchi, attraverso la misura con cui li facciamo nostri.
Così il professor Massimo Recalcati conclude il suo discorso.